Il dottor Seignalet (S), fu soprattutto un clinico, gastroenterologo, reumatologo, immunologo che ha posto particolare attenzione al riguardo dell’alimentazione scorretta come causa originaria di patologie, più o meno gravi. A seguito delle innumerevoli osservazioni ha potuto stabilire che alla base di quasi tutte le patologie vi è una dieta errata.

In ogni caso gli accorgimenti alimentari consigliati tendono solo a curare i sintomi e non le cause della malattia. Il significato di dieta al giorno d’oggi è visto solamente come numero di calorie e vitamine assunte e come equilibri tra glucidi/lipidi/protidi. L’importanza degli oligoelementi importanti per il funzionamento metabolico, era stata sottolineata solamente da Menetrier e Kousmine.

L’importanza dell’alimentazione nella salute dell’uomo è stata intuita ancheda altri studiosi come Edward Bach, Paul Carton, Kousmine, Burger e Fradin. Dall’analisi degli stili di vita, Kousmine e Burger sono arrivati a supporre che l’insorgenza di malattie è dovuto al fatto che l’alimentazione dell’uomo moderno è cambiata rispetto a quello che era solita sostenere l’uomo primitivo. E che il ritorno ad un dieta con cibo di tipo ancestrale potrebbe prevenire le malattie o guarirle.

La Kousmine identifica l’inizio di questo sconvolgimento alimentare all’inizio del XIX secolo, mentre per Burger l’inizio risale a ben 5000 anni fa. Fradin ha accusato il metodo nutrizionale occidentale come fonte di patologie. Kousmine ha dimostrato le moderne tecniche industriali per la preparazione/coltivazione dei prodotti alimentari, come fonti scatenanti delle malattie in modo particolare di quelle degenerative. Burger ha portato avanti la teoria dell’inadattamento degli enzimi umani agli alimenti moderni. Fradin ha individuato la causa scatenante nei metodi di cottura, carenza di grassi omega 3, consumo di latticini, di cereali cotti.

Dalla preistoria l’uomo si è sempre cibato di prodotti che ricavava dalla raccolta di frutti selvatici, bacche, miele. Oppure di carne e pesce che ricavava cacciando. Il latte era usato solo quello materno nel periodo della prima infanzia. Successivamente con l’inizio dell’utilizzo del fuoco e con il passaggio dalla preistoria alla civilizzazione, anche il metodo di alimentarsi è cambiato. I principali cambiamenti alimentari sono stati: consumo di cereali coltivati; consumo di latte animale e dei prodotti derivati; cottura dei cibi; preparazione degli oli; inquinamento alimentare. Tutto questo ha portato all’aumento del rischio di carenze vitaminiche e minerali.

Il passaggio dal cibo selvatico e naturale a quello moderno ha portato cambiamenti nelle molecole dei cibi ingeriti ai quali gli enzimi del nostro organismo non si sono adattati, sia perché alcuni prodotti agricoli sono stati geneticamente modificati per rendere i semi più resistenti e quindi aumentare il raccolto, sia l’impossibilità di un adattamento enzimatico, differenti da quelle naturali, ad esempio le molecole generate dalla cottura.

Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, la situazione è ulteriormente peggiorata anche a causa della globalizzazione dei mercati che ha consentito di scambiare e consumare prodotti importati da regioni distanti.

L’uomo odierno consuma una gran quantità di cereali. Questi cereali hanno subito diverse modifiche dovute a selezioni naturali, a selezioni effettuate dall’uomo alla ricerca dei semi migliori, per ibridazione di piante per ottenerne di più produttive e resistenti, per poi piantarle in luoghi diversi da quelli di origine. Tali cambiamenti hanno determinato delle mutazioni rispetto ai semi ancestrali di cui si cibava l’uomo preistorico. Inoltre è variato anche il modo di assumerli l’uomo preistorico mangiava i semi interi comprensivi di crusca, pericarpio e lo strato aleurone ricco di proteine poco diverse nella loro struttura da quelle di origine animale. Al giorno d’oggi dei semi si mangia solo la parte interna. Di conseguenza ci sarà una perdita ingente di fibre e di proteine utili. Ci sarà più amido e meno magnesio e fosforo, meno calcio e ferro e meno vitamine. Inoltre il seme viene cotto il che modifica fortemente la struttura chimica dei costituenti.

S. spiega che l’evoluzione genetica del grano, inizialmente con genoma a AA e 7 paia di cromosomi del “Triticum monococcum” di 10.000 anni fa. Successivamente è stato incrociato con “Aegylops speltoides” con genoma BB con 7 paia di cromosomi, originando un ibrido sterile AB diploide. Altre mutazioni e ricombinazioni hanno portato alla creazione del “Triticum Durum” tetraploide con 14 paia di cromosomi. L’incrocio tra “Triticum Durum” e “Aegylops squarrosa” che ha genoma DD e 7 paia di cromosomi, ha determinato un ibrido sterile ABD triploide, in qualche caso si può formare il “Triticum Spelta” AABBEE exaploide. I genomi AA BB e DD sono molto simili tra loro e questo dimostra la discendenza da un unico antenato. Tuttavia ignoriamo le conseguenze della poliploidia.

Anche l’orzo e la segale vista la struttura genetica sono da ritenersi derivati dal grano.

Il riso ha una doppia origine asiatica e africana. Il riso asiatico ha fatto la sua comparsa in India è lo “Oryza Sativa” (riso delle paludi) da cui deriva “Oryza Montana” (riso di montagna) e “Oryza Glutinosa” (riso glutinoso). Il riso africano proviene dalla regione del delta del Niger. Si tratta dell’ “Oryza Glaberrima” che è stato soppiantato dal riso asiatico. Il riso possiede 12 paia di cromosomi. Offre una particolarità che la distingue dagli altri cereali, anche sottoposto a ripetute manipolazioni da parte dell’industria alimentare si trasforma, ma ha sempre la tendenza a tornare al suo stato selvatico iniziale (Highman 1989). Il riso moderno è dunque abbastanza simile al suo antenato preistorico.

Il mais (Zea Mays) è di origine americana. La sua coltivazione risale a 7000 anni fa nella regione del Messico. In seguito è stato esportato in altri paesi. Esso discende dalla teosinta, da cui si differenzia per 5 mutazioni maggiori e diverse minori. Oggi non esiste più il mais selvatico. In origine era una piccola pianta con spighe lunghe 2.5cm e semi dalle dimensioni di un chicco di riso. Oggi a seguito di mutazioni e incroci il mais è alto da 2 a 6 metri con spighe lunghe 7 cm e semi della grandezza dei piselli.

Dopo l’analisi meticolosa di quanto esposto, S. arriva alla conclusione che il consumo di riso sembra poco o affatto pericoloso, il consumo di cereali come il grano e in parte il mais può essere coinvolto in diverse patologie. In seguito alla completa sospensione dell’assunzione di grano con la dieta nel corso della poliartrite reumatoide, la sua reintroduzione ne risveglia la sintomatologia nel 54% dei casi, il mais nel 56% dei casi. Si è riscontrata una maggiore frequenza della sclerosi a placche fra gli anglosassoni e gli scandinavi, grandi consumatori di cereali; La malattia celiaca e la dermatite erpetiforme sono la conseguenza di una risposta immunitaria contro la gliadina contenuta nel grano, alla segalina della segale e all’ordeina dell’orzo. L’esclusione di questi tre cereali dalla dieta permette la guarigione; Alcune forme di emicrania sono chiaramente legate al consumo di alimenti contenenti grano e scompaiono con la sospensione della loro assunzione; Le farine derivate dai cereali hanno un ruolo nella patogenesi del diabete mellito giovanile; Nelle depressioni nervose è stato osservato un ruolo di primaria importanza del grano.

Uno studio ha mostrato una sorprendente correlazione tra la frequenza della schizofrenia e la quantità di grano, orzo e segale consumate; La terapia del morbo di Crohn prevede spesso la sospensione dell’alimentazione orale e l’introduzione di quella parenterale. La reintroduzione di alcuni alimenti può scatenare una ricaduta. Tra le sostanze più temibili figurano il grano e il mais.

La scomparsa delle antiche civiltà Americane all’inizio del settecento viene solitamente attribuita ai danni causati dagli invasori Europei. Ma secondo Larsen (2000) queste popolazioni sono state prima di tutto indebolite dall’eccessivo consumo di mais. E’ stato dimostrato che queste popolazioni sono passate, poco prima dell’arrivo dei bianchi, da una dieta varia ad un cibo costituito al 90% di mais. Il che avrebbe provocato la comparsa diartrosi, carie e una diminuzione delle resistenze alle infezioni.

Il latte animale

I fattori dannosi derivano dalla struttura di alcune proteine del grano e del mais in quanto queste possono aver subito troppi cambiamenti con i secoli e l’organismo umano non si è adattato. Altro fattore potrebbe essere che queste proteine modificate diventino nocive dopo aver subito nuove trasformazioni causate dalla cottura. Dobbiamo infatti sottolineare che tutti i cibi derivati dai cereali vengono cotti, o sono ottenuti con tecniche realizzate ad alte temperature. Mentre le proteine del riso anche se alterate dalla cottura sono meglio tollerate.

Per migliaia di anni gli antenati dell’uomo e poi l’homo sapiens stesso si sono nutriti con un solo tipo di latte: quello delle loro madri, e soltanto durante la prima infanzia. L’addomesticazione degli animali da latte è iniziato circa 9000 anni fa, quando i popoli pastori hanno cominciato a consumare latte ed i suoi derivati. L’introduzione delle mucche da latte è relativamente recente, ed è solamente a partire dall’ottocento, e soprattutto nel corso degli ultimi cinquant’anni, che il latte di mucca ha preso il posto che occupa oggi nella nutrizione dei bambini e degli adulti.

Il latte materno è l’unico alimento realmente adatto ai fabbisogni del neonato e del bambino piccolo che variano con l’età. Anche la composizione del latte materno si modifica nel tempo. Possiamo distinguere: • il colostro, nei primi cinque giorni dopo il parto; • il latte di transizione, dal sesto al quindicesimo giorno; • il latte maturo, dal sedicesimo giorno al quindicesimo mese.

Questi tre tipi di latte presentano differenze a livello glucidico, lipidico, proteico, dei minerali, degli oligoelementi e delle vitamine. La composizione del latte varia anche nel corso della poppata stessa. In particolare aumenta la percentuale dei lipidi per provocare sazietà. Il latte materno ed il latte di mucca presentano nette differenze, le principali sono: il latte umano contiene il 7% di lattosio, la più alta percentuale fra tutti i mammiferi. Il lattosio favorisce l’assimilazione di molti minerali, la sua decomposizione libera il galattosio zucchero indispensabile per lo sviluppo del SNC e per la formazione della mielina che avvolge le fibre nervose. Permette la proliferazione della flora batterica dei lattobacilli che causano una acidificazione dell’intestino tenue. Cosa che inibisce tra l’altro l’impianto di germi patogeni. L’idrolisi del lattosio avviene per mezzo dell’enzima lattasi. La lattasi diminuisce progressivamente con la crescita, addirittura in certi adulti non è presente.

Questo dimostra che, infanzia a parte, la lattasi e comunque il latte in generale, non sono fisiologici. Il latte umano contiene una maggiore quantità di ginolattosi, che ha probabilmente un ruolo nello sviluppo del cervello. Il latte umano è particolarmente ricco in colesterolo, trigliceridi, acido palmitico ed acido oleico. E’ abbondante la presenza di acidi grassi polinsaturi (acido linolenico, acido alfalinolenico, acido gammalinolenico), che intervengono nella crescita e nella mielinizzazione del SNC.

Il latte umano è caratterizzato dalla sua relativa povertà in caseina, in betalattoglobulina e in IgC. Al contrario è ben fornito di alfalattalbumina (necessaria per la sintesi del lattosio), lattotransferrina (necessaria per il trasporto del ferro e dello zinco nell’intestino), IgA secretorie (che tappezzeranno la mucosa intestinale del bambino per opporsi alla penetrazione nel sangue dei batteri e dei virus) e di lisozima (attivo contro i batteri).

Le proteine del latte bovino hanno una struttura aminoacida primaria diversa da quella del latte umano. Le dosi di minerali ed oligoelementi contenuti nel latte materno, permettono un assorbimento ottimale per il neonato. Al contrario il latte di mucca contiene molto ferro e calcio, ma non vengono bene assorbiti dalla mucosa intestinale del bambino. Così come l’adeguato apporto vitaminico garantito dal latte materno al bambino nella giusta percentuale armoniosa, a fronte di quella riscontrata nel latte di mucca che è perfetta per alimentare un vitello.

Il latte di mucca contiene un vasto assortimento di fattori di crescita, destinati a far aumentare il peso del vitello di più di cento chili in un anno. Questi non sono quindi adatti per l’uomo (La roche-Walter 1997).

Tra il 1950 e il 2000, l’altezza media dei francesi è aumentata di circa 10 cm e il peso medio è cresciuto di quasi 10 chili. Il forte aumento del consumo dei latticini non è probabilmente estraneo a questo fenomeno. Un’altra considerazione che avvalora la tesi dell’incompatibilità dei due tipi di latte è che il vitello ha quattro stomaci che dispongono di un arsenale enzimatico ben diverso da quello dell’unico stomaco umano. Sono differenti anche gli enzimi biliari, pancreatici e intestinali. Come sostiene Burger (1988) il latte di mucca permette al vitello di costruire rapidamente una grande quantità di tessuto osseo, ma poco tessuto nervoso. Al contrario l’uomo si accontenta di una crescita ossea lenta, ma deve poter sviluppare un cervello voluminoso e complesso. Il Q.I. dei bambini nutriti con latte materno è in media di 5 punti più elevato rispetto a quelli nutriti con latte di mucca.

Gli effetti nocivi del latte di mucca

Alcuni bambini sviluppano un’intolleranza al latte di mucca e presentano disturbi digestivi acuti ad ogni assunzione; Nella poliartrite reumatoide in una percentuale non trascurabile di pazienti, la sospensione dell’assunzione di latticini, provoca una remissione della sintomatologia, e la loro reintroduzione viene seguita da una ripresa dei sintomi; Nel diabete mellito giovanile di recente esordio, si osservano costantemente un titolo elevato di anticorpi anti albumina bovina, ai quali viene attribuito un ruolo importante nella genesi delle lesioni del pancreas endocrino; Nella sclerosi a placche si è ottenuto il blocco dell’evoluzione della malattia eliminando dall’alimentazione dei pazienti i grassi saturi di origine animale, tra cui il latte e i suoi derivati e di sostituirli con grassi insaturi di origine vegetale; Nella nefropatia IgA si è evidenziato la presenza di molecole antigeniche provenienti dal latte nei complessi immuni depositati a livello dei glomeruli renali; Alcune forme di emicrania sono chiaramente causate dall’assunzione di latticini e regrediscono quando questi sono esclusi; Il morbo di Crohn è nettamente più frequente fra gli anglosassoni e gli scandinavi che non fra i popoli di origine latina, fatto collegato al maggior consumo di latte fra i primi rispetto ai secondi; In Francia gli incidenti cardiovascolari e la durata di vita media più breve si riscontrano con maggior frequenza al Nord piuttosto che al Sud. Questo viene in gran parte attribuito all’uso del burro fra i primi e quello dell’olio di oliva fra i secondi.

I bambini allattati dalla madre sviluppano molto meno infezioni gastrointestinali, respiratorie o otorinolaringoiatriche rispetto agli altri; La letteratura medica evidenzia come il consumo di latte materno comporta una riduzione della frequenza di alcune malattie croniche nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza: diabete mellito di tipo I, malattia celiaca, malattie infiammatorie intestinali, cancro.

Il problema della cottura

Per cottura si intende il trattamento degli alimenti col calore. Sono diversi imodi di cottura, ogni variazione termica in rialzo, causa un movimento delle molecole dell’alimento, dell’ambiente che lo circonda e della padella che lo contiene. La cottura trasforma in modo evidente l’aspetto degli alimenti, ed i cambiamenti sono tanto maggiori quanto è elevata la temperatura e quanto questa è prolungata.

Durante la cottura, sotto effetto dell’agitazione termica, le molecole si scontrano, si rompono e si uniscono casualmente fra loro per dare origine a combinazioni molto complesse che spesso non esistono in natura (Burger 1988 – Comby 1989).

Gli zuccheri si polimerizzano, gli oli si ossidano e si polimerizzano. Per la cottura viene consigliato l’uso dell’olio di arachidi, in quanto contiene soltanto il 30% di acidi grassi, e produce meno danni alle alte temperature a cui viene sottoposto.

Durante la cottura si creano degli isomeri: • zuccheri di tipo L a partire da quelli di tipo D; • aminoacidi di tipo D a partire da quelli di tipo L; • acidi grassi trans a partire da quelli cis. I nostri enzimi agiscono solo sulla sostanza originale naturale e non sull’isomero. Il destino degli isomeri una volta superato la barriera intestinale è tuttora sconosciuto, nella migliore delle ipotesi essi non verrebbero utilizzati, mentre nella peggiore, e così sembra essere, verrebbero invece utilizzati. Da questa osservazione si evince che spesso è sufficiente una piccola differenza rispetto alla molecola normale per ottenere una molecola che l’organismo non è capace a gestire. Così il 2-desoissiglucoso molto simile al glucosio, ma gli manca un atomo di idrogeno legato al secondo carbonio. Il 2-desossiglucoso viene trasportato ed assorbito dagli stessi sistemi del glucosio, ma a livello cellulare non può essere trasformato e di conseguenza verrà accumulato.

La cottura provoca il cambiamento della struttura spaziale. I legami covalenti non vengono spezzati e non è danneggiata la struttura primaria. Vengono invece scissi i legami a idrogeno e sono rinforzati i legami idrofobici intramolecolari. Avvengono modifiche delle catene laterali dei residui di amminoacidi, il triptofano produce derivati carbossilici, tra questi il gamma carbossile che è un grosso potenziale agente cancerogeno. Anche l’acido glutammico è in grado di creare derivati cancerogeni potenziali.

Altra conseguenza chimica della cottura sono le reazioni di Maillard, con interazioni tra proteine e glicidi riduttori, generando sostanze sempre più complesse in tre fasi. Si formano aldosamine e cetosamine nella prima fase, premelanoidine nella seconda fase e melanoidine nella terza fase. Queste molecole di Mailard sono grandi e sempre più difficili da metabolizzare man mano che si modificano. Le più coriacee praticamente sono impossibile da rompersi. Sono insolubili all’acqua e resistenti agli enzimi proteolitici. Quando queste sostanze avranno superato la barriera intestinale possono avere due opzioni: si accumulano nelle cellule e nell’ambiente extracellulare e provocare una patologia da incrostamento, oppure essere intercettate dai macrofagi e trasportate intere e indigerite ad un emuntore per l’eliminazione, questo può portare ad una patologia di eliminazione.

Il consumo di cibi cotti provoca come reazione del sistema immunitario una leucocitosi. La cottura dei grassi animali o alcuni cibi cotti come grano, mais, latte favoriscono il tumore al seno, l’obesità, il diabete della maturità e malattie cardiovascolari. Inoltre le molecole di Mailard, che i nostri enzimi non riescono a scindere, nel neonato non sono presenti, ma si riscontrano in quantità abbondante nella persona anziana. Questo potrebbe significare la loro partecipazione all’invecchiamento vascolare e cerebrale prematuro e alle demenze senili, purtroppo al giorno d’oggi sempre più frequenti.

Seignalet espone una serie di esperimenti ed osservazioni anche di altri studiosi che dimostrano quanto sia dannosa la cottura del cibo ad alta temperatura. Suggerisce quindi di consumare alimenti crudi piuttosto che cotti. Se nonostante tutto preferiamo la cottura degli alimenti bisogna tener conto che le modifiche indotte dal calore sono tanto più importanti quanto la temperatura è alta e quanto è lungo il tempo di cottura. Il limite oltre il quale gli alimenti subiscono danni importanti è posto ad una temperatura di 110 gradi. Fino a 100 gradi si formano pochissime molecole di Mailard, oltre i 110 gradi si creano numerose di queste molecole mutagene. Bisogna scegliere la cottura stufata o quella a vapore dolce, sono metodi validi anche la brasatura o la lessatura. Da evitare la griglia e la frittura per l’elevata temperatura che raggiungono (300 e 700°), evitare anche la pentola a pressione che arriva a 140 gradi. Evitare anche il forno a microonde per alcune caratteristiche inquietanti.

La preparazione degli oli

Sono diversi gli studiosi che da tempo hanno enunciato i pericoli associati alle moderne tecniche utilizzate per la preparazione degli oli vegetali (Kousmine 1980 – Bondl 1989).

Una volta gli oli venivano estratti dalle piante tramite spremitura a freddo, con procedimenti meccanici, in cui la temperatura si avvicinava ai 30 gradi. Questi oli contenevano acidi grassi essenziali, in particolare l’acido linoleico e l’acido alfa linolenico in forma cis (vitamina F), ma queste tecniche rendevano una produzione solo al 30%. Negli anni 40 le industrie cercarono di aumentare questo scarso rendimento applicando l’estrazione a caldo, grazie al vapore acqueo, in cui venivano raggiunte temperature tra i 160 e i 200 gradi. Ottenendo il rendimento all’incirca del 70%. In questo modo però si arriva a ottenere una certa quantità di acidi grassi trans. Inoltre l’olio viene manipolato tramite raffinamento, decolorazione, deodorazione ed idrogenazione, divenendo “non più adatto al consumo umano”.

Negli ultimi decenni è stata drasticamente abbassata la quantità di acidi trans, grazie all’utilizzo di solventi chimici volatili come l’esano. La spremitura a freddo permette il recupero del 100% dei grassi. Successivamente si scalda a 30 gradi per eliminare il solvente. Purtroppo questa depurazione non è mai totale e rimangono sempre piccole quantità di solvente, più o meno tossiche. Gli oli moderni in confronto con quelli ottenuti in passato con i procedimenti meccanici a freddo, sono oli morti. Non contengono certamente acidi grassi trans, ma quando vengono scaldati a 200 gradi, possono verificarsi due situazioni.

– L’olio è molto povero o sprovvisto di acidi grassi polinsaturi. Non si formeranno composti trans, ma ci sarà una carenza di acidi grassi polinsaturi cis, questo deficit condurrà ad un cattivo funzionamento delle membrane cellulari e ad un disequilibrio del metabolismo delle prostaglandine. – L’olio è ricco di acidi grassi polinsaturi, e si formerà una certa quota di composti trans. Questi hanno molteplici effetti nocivi, come l’ipercolesterolemia, l’aterosclerosi, l’obesità, la resistenza all’insulina nel diabete, inoltre è stato confermato che gli acidi grassi trans favoriscono danni coronarici (Ascherio E Willet 1995).

Queste considerazioni hanno portato a proporre da Kousmine e Bondl l’utilizzo di oli extravergine consumati crudi al posto degli oli industriali. E’ stato ipotizzato che il trattamento delle malattie autoimmuni giova dell’esclusivo utilizzo di oli di qualità (sclerosi a placche – Kousmine 1983). La margarina viene posta sullo stesso livello di pericolosità degli oli industriali e ne viene proibito l’utilizzo. Negli ultimi decenni gli alimenti che consumiamo hanno subito numerosi cambiamenti legati all’aggiunta di additivi, all’aggiunta di prodotti somministrati ad animali e vegetali e dall’irradiazione in alcuni casi. Oggi molte persone essendo venute a conoscenza della contaminazione sempre più accentuata e selvaggia, si sono indirizzate verso il consumo di alimenti biologici, ma purtroppo anche qui in taluni casi la cupidigia dell’uomo ha architettato ignobili truffe per garantire maggiori profitti. Ciononostante quella dell’alimentazione biologica resta l’unica via da perseguire per garantire l’apporto di cibi energeticamente vivi.

La maggior parte degli animali d’allevamento non esce mai dalle gabbie e viene nutrito con pastoni la cui composizione è ben lontana dagli alimenti ottimali per quella specie. In più gli animali vengono macellati molto più giovani rispetto a quanto si faceva una volta. Così anche molti tipi di frutta e verdura crescono in serre e vengono raccolti prematuramente rispetto alle verdure e ai frutti coltivati in modo tradizionale. Questi animali e vegetali vengono spinti velocemente alla crescita con modi artificiosi, somministrando nei pastoni o nei concimi dosi di vitamine e minerali. Teoricamente i consumatori dovrebbero essere al riparo da carenze vitaminiche e di minerali. L’esperienza dimostra che non è vero, e sovente si incontrano deficit di magnesio, ferro e oligoelementi.

Conclusioni

La dieta ipotossica, associata ad altre regole di buon senso, come l’attività fisica moderata e l’abbandono del vizio del fumo, può costituire l’unica terapia per molte patologie. Seignalet suggerisce nel caso in cui venga seguita per eliminare patologie gravi, di seguirla rigorosamente per almeno un anno o due, poichè il riscontro può tardare ad arrivare. In caso di buon esito, la dieta deve essere portata avanti per tutta la vita, infatti i pazienti non sono guariti, ma in remissione e se decidono di riprendere le abitudini alimentari precedenti, prima o poi si manifesterà una ricaduta, più o meno frequentemente. Secondo S. questa rappresenta sicuramente una prova dell’efficacia della dieta. Sembrerebbe che quando un organo o un tessuto vengano colpiti da una malattia autoimmune, da incrostamento o da eliminazione, continui a persistere nel tempo un punto debole, che causa una tendenza nella ripresa dello stesso problema. In linea di massima e per fortuna, i soggetti che hanno ben risposto alla dieta ipotossica, reagiscono nuovamente in modo favorevole ad un ulteriore tentativo di cura con lo stesso metodo.

Le indicazioni fornite sulla “dieta ipotossica” e avvalorate da diversi casi documentati, deve essere tenuta in considerazione per il trattamento di molteplici disturbi o patologie. Tuttavia questo intervento dietetico può essere ulteriormente migliorato. Un altro argomento trattato nell’opera di Seignalet, degno di un attento approfondimento è la questione dell’incrostamento al quale è sottoposto il nostro intestino e organismo dalla moderna alimentazione.